L’amore dei nonni

Fino agli inizi del 1900 la vita nelle campagne lombarde era dura e la gente, che lavorava nei campi alle dipendenze dei fittavoli, viveva in uno stato di ristrettezza che rasentava la povertà.
Questa storia mi è stata raccontata da una signora che da piccola viveva in quel contesto e che d’inverno, alla sera dopo la scarsa cena, si ritrovava con tutti gli abitanti della cascina, nella stalla a sfruttare il calore delle mucche.
In quelle riunioni di condominio non si parlava di rifacimento dei balconi o sistemazione del giardino ma era compito della più anziana della cascina raccontare i fatti misteriosi e surreali che erano accaduti nelle cascine della zona.

Ecco cosa disse quella sera.

In una piccola costruzione, che una volta serviva da ricovero agli attrezzi agricoli, vivevano una donna di circa sessant’anni di nome Angelina e la sua nipotina. I genitori della piccola erano partiti per l’America in cerca di fortuna. La nonna e la nipote vivevano con i prodotti di un piccolo orto e con le uova di sei galline. Quando qualche tempestata rovinava l’orto e qualche faina rubava le uova le povere donne erano sfamate dalla generosità dei vicini. La nonna indossava un grembiule nero con ciabatte di pezza nere ed uno scialle nero. La bambina, quando andava a scuola, indossava una vecchia gonna grigia ed una camicetta di cotone bianca, camminava con un paio di sandali dai quali spuntavano in avanti le dita indice in quanto i piedi erano diventati più lunghi delle scarpe.
Nel paese tutto procedeva col solito ritmo finché non avvenne un fatto che sconvolse la vita degli abitanti. Era una notte d’autunno avanzato, umido e piovoso, le strade del paese erano fangose e scivolose quando, improvvisamente, nel buio pesto si udì un rumore assordante come di catene di ferro trascinate sui sassi. A quei pochi coraggiosi saltati giù dal letto e affacciatisi alla finestra apparve una scena surreale: un lungo e basso carro trainato da un cavallo guidato da una figura con un mantello che reggeva le redini stando in piedi avanzava lentamente nella strada fangosa.
Quando il carro giunse davanti alla casa della nonna e della bambina si arrestò, con grande cigolio di catene, e l’uomo, dimostrando una sorprendente agilità, balzò a terra e riavvolgendosi nel mantello si diresse verso l’ingresso. Entrò in casa senza attendere di essere invitato e in quel momento l’interno dell’abitazione si illuminò di una luce rossa.
Passarono pochi minuti che la luce si spense, la porta si aprì e ricomparve l’uomo col mantello questa volta portando sulle spalle un sacco pieno di qualcosa. Si avvicinò al carro, lo depositò vicino ad altri sacchi che già stazionavano sul lungo pianale, indi saltò al posto di guida, schioccò la frusta e si
allontanò fra il cigolare di catene finché scomparve nell’oscurità.

Naturalmente il giorno dopo l’argomento sulla bocca di tutti era il furto in casa dell’Angelina, però la cosa strana era che le due donne non avevano denunciato nessun furto, ma non solo, di questo non ne avevano parlato nemmeno con nessuno.
Questa situazione creò un’atmosfera di curiosità fra gli abitanti del piccolo paese che cominciarono a spiare più o meno sfacciatamente la casa dell’Angelina. E fu da quel momento che cominciarono a verificarsi degli strani eventi: l’orto della piccola casa era improvvisamente rifiorito a nuova vita sebbene da più giorni non si vedeva la nonna andare a vangarlo, la bambina indossava un bel vestito nuovo, come pure nuove erano le scarpe inoltre dal camino usciva del fumo questo significava che avevano legna da ardere, cosa mai successa prima.
I paesani decisero di vederci chiaro: incaricarono due giovanotti di dare un’occhiata all’interno della casa, e così una sera le due giovani spie portarono a termine il loro mandato e quello che raccontarono
mise ancora più in apprensione l’intera comunità.

Questa fu la loro relazione: tutta la casa era illuminata da tre lampade, il camino era acceso, la bimba e la nonna erano sedute al tavolo a cenare, la nipote mangiava e la nonna, girata di spalle, la guardava, sul tavolo c’era ogni ben di dio, roba che neanche loro non avevano mai mangiato.
Questo argomento fu dibattuto a lungo quella sera nella stalla, finché si giunse alla conclusione che, essendo un problema per loro irrisolvibile, bisognava coinvolgere il curato. Don Achille ascoltò la storia e assicurò che quella sera sarebbe andato a casa dell’Angelina. Seguito da un codazzo di curiosi bussò alla porta ma quando la bambina lo invitò a entrare sentì come una forza misteriosa che gli impediva di varcare la soglia. Dopo aver benedetto la porta con l’acqua santa il prete riuscì ad entrare e vide la nonna, col suo grembiule nero e il suo scialle sulla testa, seduta al tavolo con gli occhi chiusi, come se stesse dormendo.
A quel punto la bambina spiegò che un signore aveva detto alla nonna che se avesse venduto l’anima al diavolo la nipote non avrebbe più avuto miseria, così la nonna accettò e dieci giorni dopo era arrivato il diavolo a prendere l’anima lasciandole la nonna a farle compagnia.

Questi fantasiosi racconti della stalla, pur nella loro ingenuità, avevano sempre una morale che insegnava ai bambini la rettitudine.

Digel ai to amis