El Bissun

el bissun

Il simbolo di Milano è un grosso serpente, el Bissun, nell’atto di inghiottire un bambino.

Ma da dove è sortita questa simbologia che, se vogliamo essere sinceri, non ha nulla di rassicurante?

Una delle leggende che ne narra la nascita è questa: dopo la morte di Teodosio e del patrono di Milano Ambrogio, in una grotta presso il lago Gerundo, situato fuori dalle mura della città, forse presso il fiume Adda, comparve uno spaventoso mostro. Era una specie di drago con il corpo allungato come quello di un serpente e un alito pestilenziale che ammorbava l’aria, aveva, inoltre, il difetto di mangiare i bambini. I fiorenti commerci della città iniziavano a risentirne perché i mercanti giravano, prudentemente, alla larga dalla zona.

Per porre fine a tutto questo, Uberto Visconti, capostipite della famiglia che dominò Milano per quasi tre secoli, partì, armato di lancia, spada e scudo dirigendosi verso l’antro in cui dimorava la bestia. La trovò mentre si apprestava a divorare un bambino: Uberto riuscì a liberare il piccolo e iniziò una feroce lotta con il drago che si protrasse fino al tramonto del giorno dopo, quando finalmente riuscì ad ucciderlo.

Tornò a Milano con la sua testa e un nuovo simbolo da mettere sul proprio stemma: un drago, appunto, con un bambino in bocca. Il drago poi si ridimensionò fino ad assumere le fattezze di un serpente o grossa biscia, il Biscione, el Bissun: simbolo dei Visconti di Milano.

Questa è una delle leggende intorno alla nascita del famoso simbolo. La storia, di cui non si hanno notizie prima del XIV secolo, forse è nata per giustificare il dominio politico della famiglia Visconti. Nel secolo successivo Carlo Torre (autore di diversi libri sulla città di Milano) ne riporta una versione simile accennando al luogo dove potrebbe essere finito il drago. Sembra che i resti siano stati rinvenuti scavando le fondamenta per la costruzione del Mausoleo Trivulzio in piazza San Nazaro a Porta Romana. Resti di cui, però, si sono perse le tracce.

Vist che nun ghe serum no, ciapemela per bona.

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